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LA GIURISPRUDENZA - In assenza di prole il giudice protegge innanzitutto il titolare della proprietà

Dal Sole 24 Ore del 06 maggio 2006

Il diritto al godimento del bene
Divorzio all'italiana
IL PRINCIPIO GENERALE - Se a dividersi è una famiglia con figli la casa viene attribuita al coniuge «affidatario» -LA GIURISPRUDENZA - In assenza di prole il giudice protegge innanzitutto il titolare della proprietà

Come in Francia, Germania, Inghilterra e Galles, Olanda e Svezia. Con la legge dell'8 febbraio 2006, pubblicata il 1º marzo sulla Gazzetta Ufficiale, l'Italia stabilisce nuove disposizioni in tema di affidamento dei figli in caso di separazione dei genitori. In buona sostanza, dal principio di "bigenitorialità"deriva che l'affidamento condiviso a entrambi i coniugi separati sia la regola e che il giudice possa decidere diversamente solo come scelta residuale. «Sul tema specifico dell'assegnazione della casa di famiglia - commenta l'avvocato Anna Maria Bernardini De Pace - la legge non si esprime, dice solo che se ne deve tener conto come contributo economico. Mancando ancora una giurisprudenza, è difficile dire come concretamente evolveranno le cose». Una cosa è certa: affido condiviso non comporta divisione al 50% del tempo e della convivenza. «Significa - precisa - che tutte le decisioni importanti vanno prese insieme. Prevedo che aumenteranno i litigi».
Rimane dunque in piedi il principio tradizionale per cui, coi figli di mezzo, l'assegnazione della casa di famiglia - autentico "tempio emotivo", come la definisce l'avvocato - viene regolata al fine di tutelare i loro interessi superiori e risparmiare loro il trauma del distacco. Ecco perché è di preferenza attribuita, con pertinenze e arredi relativi, al coniuge affidatario della prole minorenne o convivente con figli maggiorenni purché non autosufficienti. Criterio che vale sempre, anche quando la casa è di proprietà dei suoceri oppure è in affitto.
In materia di casa e matrimonio si sono delineate alcune tendenze di fondo. Intanto, in assenza di figli, è perlopiù disatteso dalla giurisprudenza l'articolo 6 della legge sul divorzio (la 898 del 1970) che vorrebbe che nel decidere a chi attribuire la casa coniugale il giudice tenesse conto delle condizioni economiche dei coniugi e favorisse quello più debole. In realtà, «se di proprietà di un coniuge - spiega Bernardini De Pace - la casa familiare non viene assegnata al l'altro che su di essa non abbia diritti reali o personali, perché prevale il diritto di proprietà».
Quando invece l'assegnazione del nido coniugale comporta per l'altra parte un immediato aumento delle spese, magari perché essendo quella l'unica casa di (com)proprietà la deve sostituire con un'altra in affitto, questi squilibri vanno ricomposti in sede di definizione dell'assegno per il coniuge bisognoso. Che può andare da poche centinaia di euro in su. Tutto dipende da: addebito di responsabilità, capacità di reddito di marito e moglie, loro patrimonio, bisogni, tenore di vita - anche solo potenziale - tenuto sin lì.
Oltretutto, il giudice della separazione può benissimo decidere che l'assegno si calcoli non già in un'unica cifra bensì spalmato su più voci di spesa, tra cui il pagamento del canone d'affitto o delle spese condominiali. Come garanzia contro il rischio di inadempienza nei pagamenti, può inoltre accendersi un'ipoteca giudiziale sulle proprietà immobiliari del partner: su di esse il coniuge creditore potrà eventualmente rivalersi.
Riguardo all'assegnazione della casa coniugale, è bene trascrivere il provvedimento definitivo nei registri immobiliari per cautelarsi verso eventuali compratori terzi che sarebbero così obbligati a rispettare il diritto del coniuge assegnatario di abitarvi. Si tratta di un diritto esclusivo che rende legittimi comportamenti quali sostituire la serratura e impedire al l'ex, anche quando è l'unico proprietario della casa, di entrare a piacimento. Inoltre è un diritto gratuito, che non comporta il pagamento di alcun corrispettivo. Le spese di condominio ordinarie, tuttavia, di solito rimangono a carico dell'assegnatario, mentre quelle straordinarie vengono ripartite in base alle quote di proprietà e se l'unico proprietario è il coniuge non assegnatario, spetta a questi di sostenerle per intero.

Le quattro regole base
In caso di separazione giudiziale il giudice interviene solo sulla prima casa. Questi i principi generali che disciplinano la sua assegnazione:

1 - Se non diversamente convenuto, il regime legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi s'intende in comunione dei beni. Sono patrimonio comune tutti gli acquisti non strettamente personali (come invece abiti, orologi e così via) compiuti sia insieme sia separatamente durante il matrimonio. Rientrano i diritti di proprietà, di superficie, di abitazione, di uso e usufrutto. Anche l'acquisto per usucapione, ma solo se deriva da un possesso già acquisito in comunione.

2 - Non rientrano i beni acquistati prima del matrimonio e quelli acquisiti dopo per effetto di donazioni o eredità, salvo che nell'atto non sia espressamente scritto il contrario. Sfuggono anche i beni che servono all'esercizio della professione individuale.

3 - Se si sceglie la separazione dei beni, ciascun coniuge gode e amministra i beni - e i redditi che ne derivano - acquisiti durante il matrimonio. La proprietà esclusiva di un bene, tra cui un immobile, può essere provata «con ogni mezzo», come sancisce l'articolo 219 del Codice Civile. Per contro, i beni di cui i coniugi non riescono a dimostrare la proprietà esclusiva, s'intendono di proprietà comune indivisa.

4 - In caso di separazione giudiziale, il giudice limita la sua decisione alla casa di famiglia e non interviene sugli altri immobili, comprese le seconde case al mare o in montagna.

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