La casa familiare è revocabile
Dal Sole 24 Ore del 28 gennaio 2006
La nuova convivenza può far perdere il diritto ad abitare nell'immobile
Francesca King
Uno dei punti più significativi della riforma del diritto di famiglia riguarda il tema dell'assegnazione della casa familiare in caso di separazione e divorzio. E si tratta di un punto contro il quale si erano levate molte voci critiche durate l'iter di approvazione della riforma e che era stato oggetto di diversi emendamenti.
Il testo del nuovo articolo 155 quater introduce, infatti, alcune importanti novità, volte anche a tutelare la posizione del coniuge proprietario della casa familiare. Innanzitutto, viene stabilito il principio per il quale «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli». Se l'affido condiviso diventerà nella prassi - come previsto dal testo appena approvato - la regola nei casi di separazione e divorzio, non sarà più l'affidamento a determinare l'assegnazione della casa familiare (come avveniva finora), ma occorrerà prendere in considerazione altri fattori, tra i quali un peso preponderante avrà verosimilmente la collocazione del minore presso un genitore o comunque l'individuazione del genitore con cui il minore trascorrerà la maggior parte del proprio tempo.
Viene stabilito poi che «dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà». Di fatto, verosimilmente questa previsione porterà a una diminuzione dell'importo dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge assegnatario (non proprietario) della casa familiare, il quale si vedrà imputato quale beneficio economico il diritto di godere della casa di proprietà dell'altro coniuge.
Il punto più innovativo della riforma (e sul quale maggiori erano state le critiche) è rappresentato dalle ipotesi nelle quali il diritto all'assegnazione della casa familiare può essere revocato. L'articolo 155 quater, infatti, prevede che «il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio». Il testo così come approvato definitivamente, dunque, priva del diritto di assegnazione il coniuge che contragga nuovo matrimonio o inizi una convivenza more uxorio; la norma sembra prevedere per queste ipotesi una automatica perdita del diritto di vivere nella casa assegnata. È vero infatti che il testo non prevede alcun obbligo di lasciare tout court la casa coniugale oggetto di assegnazione, nel caso in cui il coniuge assegnatario contragga un nuovo matrimonio o inizi una convivenza, ma sembra stabilire che il titolo ad abitare la casa acquisito con la sentenza di separazione non sarà più valido e che andrà sollecitata una nuova determinazione del giudice. È anche vero che tale nuova determinazione del giudice non dovrà limitarsi a considerare il nuovo assetto economico dei coniugi, ma dovrà soprattutto tenere in considerazione l'interesse dei figli (l'articolo 155 quater prevede che «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli»), ma è altresì evidente il rischio che questa disposizione sia oggetto di facili strumentalizzazioni e esasperi i conflitti coniugali.
Nel vigore della previgente normativa, peraltro, la giurisprudenza aveva in più occasioni affermato che l'instaurazione da parte di un genitore di una convivenza more uxorio può rappresentare per il minore - a patto che lo stesso sia ben inserito nel nuovo nucleo familiare - una positiva possibilità di crescita e sviluppo. Sarebbe stato forse più opportuno prevedere espressamente la possibilità per il giudice di valutare caso per caso quale sia l'interesse del minore, quali le possibilità economiche dei genitori, quale l'incidenza della nuova convivenza sui rapporti economici della famiglia. FRANCESCA KING
L'Associazione : ci auguriamo che la positiva possibilità di crescita di un minore sia quella di non sottrargli uno dei due genitori, ritenendo che la genitorialità possa affettuosamente esercitata meglio da un'altra figura diversa da uno dei due genitori